La voce del paese

MARIO, IL NOME E’ DI FANTASIA

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Mario, il nome è di fantasia, ha passato la cinquantina. Una moglie da cui sta divorziando che di certo non lo ama e due figli che si dimenticano facilmente di lui perché vive in una casa di 7mq. E’ stato in carcere per un’accusa infondata ed anche quando è stato assolto con formula piena la sua vita è rimasta un inferno. Per le feste non riceverà la visita di nessuno. Per le feste non riceverà la telefonata di nessuno neanche di chi ha sbagliato numero. Per le feste, resterà nella soffitta dove vive nel suo letto a piangere.

Mario… il nome è di fantasia.

Maria, il nome è di fantasia, guarda suo marito Mario, il nome è di fantasia, e poi guarda la bambina di 6 mesi. Lui sta giocando con lei, le sorride e lei ride con la sua bocca senza denti e gli occhi pieni di vita. Non capisce che il papà ha perso il lavoro il giorno dopo la sua nascita, che la mamma non ha mai lavorato e che se vive insieme ai nonni è perché non ha una casa dove crescere per via di uno sfratto. Maria e Mario hanno dalla loro parte i genitori che li aiutano, un amore che li unisce ed una figlia bellissima. Di contro una situazione che spingerebbe una persona a buttarsi dalla finestra.

Maria e Mario… i nomi sono di fantasia.

Mario, il nome è di fantasia, esce di casa. Passa davanti alle vetrine del centro, guarda l’opulenza, guarda la gente che fa gli acquisti, guarda la macelleria piena di bella e sugosa carne, guarda la pescheria con i prodotti esposti e guarda chi compra per imbandire una bella tavola. Poi arriva alla sua meta: la mensa della diocesi. Avrà un pasto caldo, un posto per sedersi qualche ora, l’illusione di un compagno di convivio e magari una parola da qualche operatore volontario della croce rossa. Poi tornerà alla sua solitudine e forse sorriderà per un secondo.

Mario…. Il nome è di fantasia.

Maria, il nome è di fantasia, invita il ragazzo che le ha portato la spesa ad entrare e gli fa vedere la casa. Gli offre il caffé, lo lusinga con la cortesia della buona padrona di casa e della mamma premurosa ma è solo una scusa per avere qualcuno che per qualche minuto riempie la sua casa sempre vuota. Il marito non c’è più ed i figli non ci sono mai stati.

Maria… il nome è di fantasia.

Queste storie che ho brevemente quanto indegnamente citato sono alcuni dei casi che in questo 2009 ho dovuto conoscere per via del mio lavoro di cameraman televisivo e giornalista. Uso la dicitura “il nome è di fantasia” con disprezzo e poca convinzione pensando a quanto è stato insensibile (stavo per usare la parola stronzo) chi l’ha usata per la prima volta: un modo come un altro per raccontare una storia senza urtare la sensibilità delle persone che comprano un giornale.

Spesso si dice che la dicitura il nome è di fantasia serve per garantire la privacy dell’oggetto del pezzo; ed allora mi domando il senso? Raccontare una storia sul giornale oppure in televisione con lo scopo di sensibilizzare qualche anima e poi magari gli utenti non sanno che si sta parlando del vicino di casa.

Siamo purtroppo fatti in questo modo: la mattina ci svegliamo, prendiamo il caffé, facciamo la nostra toletta e poi ci buttiamo nella vita quotidiana con i paraocchi. Ci preoccupiamo del nostro orticello, della nostra vita privata, di essere generosi con il figlio che ci chiede gli euro per la ricarica del cellulare o con la moglie che si lamenta di questo o quello. Con il sorriso ascoltiamo i problemi del nostro collega di lavoro e ci informiamo con poca convinzione circa la salute del salumiere sotto casa. E mentre facciamo questo non cogliamo il pensiero di chi sta in fila con noi al supermercato o con chi è nella macchina vicino a fare la coda. Guardiamo una donna che legge il giornale e la etichettiamo come una perditempo che potrebbe fare la buona donna di casa e magari non immaginiamo che potrebbe essere intenta a vedere gli annunci economici per trovarsi un’occupazione ed aiutare il marito ad arrivare a fine mese. Oppure guardiamo con disgusto l’anziano in attesa dal medico come colui che grava sulle casse del servizio sanitario nazionale; potrebbe essere che l’anziano Mario, il nome è di fantasia, è lì perché da un’altra parte si sentirebbe solo. Potrebbe essere che l’anziano Mario, il nome è di fantasia, è lì perché vuole illudersi nei cinque minuti che durerà la sua visita, che qualcuno realmente si interessi a lui.

Di fronte al mio computer mio figlio Marco, il nome questa volta non è di fantasia, mi guarda e ride girandosi il ciuccio in bocca. Potrò insegnare a lui che il suo mondo non sarà solamente composto da me, dalla Mamma, dai Nonni e  di chi gli vuole bene? Il compito di insegnarli un giorno che a Natale, a Pasqua, a Ferragosto e nei restanti 362 giorni dell’anno esistono tanti altri nomi di fantasia che lo circondano non sarà un compito facile.

Gandhi un giorno disse alla folla che prima di preoccuparsi dell’armonia del mondo, bisognava arrivare a casa e pensare all’armonia familiare. Solo in quel caso si poteva poi arrivare ad un mondo migliore. Ma se dopo aver stabilito una (traballante) armonia famiglia, il resto è pura ipocrisia?

Se Mario, Mario, Mario e Mario, i nomi sono di fantasia, si iscrivono al gruppo della parrocchia per raccogliere i vestiti da dare ai poveri con la Caritas e poi lasciano il padre a casa da solo perché è anziano e forse rincoglionito, dove stanno sbagliando Mario, Mario, Mario e Mario? Oppure sta sbagliano la parrocchia che gli accoglie tra i suoi proseliti?

Quanti “Mario” esistono fuori dalla nostra porta che non siamo capaci a capire (ho il dubbio se usare il punto esclamativo o interrogativo). Quanti “Mario” incontriamo ogni giorno per strada ed ignoriamo (stesso dubbio di prima). Ma quanti “Mario” potremmo far entrare ogni giorno nella nostra vita se fossimo un po’ meno ottusi? A quanti “Mario” potremmo rendere speciale una giornata solo perché uscendo dal nostro impaurito guscio apriamo le braccia ad uno sconosciuto? Quanti “Mario” possiamo amare (di nuovo il dubbio che sia una domanda o un’affermazione).

Alzo gli occhi dalla tastiera. Marco mi guarda. Si leva il ciuccio e con la sua manina lo punta verso di me: “vuoi dare il ciuccio a papà?” faccio io con una voce da idiota. Il suo sorriso si illumina ancora di più. Lo prenderò in braccio tra poco, appena avrò finito di scrivere queste righe. Andremo alla finestra a fare “ciao” ai passanti. Magari “Mario”, il nome è di fantasia, alzerà gli occhi e guarderà un padre ed un figlio alla finestra e farà un sorriso.

E con quel sorriso magari, riuscirà a scambiare due chiacchiere convinte con il benzinaio che non si chiamerà più “Mario” ma Giovanni e questa volta il nome non sarà di fantasia. E Giovanni andrà a comprare un maglione e scherzerà con la commessa che non sarà più “Maria” ma Donatella ed anche questa volta il nome non sarà di fantasia ma sarà reale. E Donatella andrà a casa ed incontrerà sulle scale la signora del quarto piano con le buste e si offrirà di accompagnarla perché sono pesanti. E la signora del quarto piano non si chiamerà più “Maria” ma Lucrezia. E Lucrezia, da quella sera, andrà a dormire felice perché è convinta che con un po’ di sforzo, (con tanto sforzo ma Lei è fiduciosa) il prossimo anno sarà diverso: il nome è di fantasia diventerà un nome e sarà pronunciato non solo da un giornalista ma anche da qualcuno che realmente ha voglia di cambiare e levarsi la scorza di ipocrisia che lo riveste.

Ed a Marco, il nome non è di fantasia, magari un giorno potrò dire che il Mondo non è così pieno di solitudine come lo vedo io attraverso il mirino della mia telecamera. Magari anche io potrò convincermi che con un po’ di sforzo (ma anche io sono fiducioso) questo mondo potrà cambiare.

Ed in meglio. Forse.

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