Attualità

UNIVERSITA’, NE PARLIAMO CON GLI STUDENTI CASSANESI

Ateneo_di_Bari

Lo stato di agitazione degli studenti dell’Università di Bari, già a livelli piuttosto alti da diversi mesi, ha raggiunto il suo culmine il 18 Maggio 2010, con l’occupazione del palazzo ateneo e il conseguente blocco totale dell’attività didattica.

Le esatte dimensioni della comunità di studenti iscritti all’Università di Bari nel nostro paese, e dunque direttamente interessati alla situazione, sono difficili da valutare. L’ufficio Informagiovani del Comune, presso il quale è attivato un servizio di segreteria remota, ha dichiarato che circa cento studenti si avvalgono con continuità dei servizi messi a disposizione dal suddetto ufficio. È tuttavia probabile che fra questi, alcuni provengano dai paesi limitrofi, soprattutto Acquaviva, Santeramo e Sannicandro. Le condizioni dell’ateneo, dunque, riguardano un nutrito gruppo di nostri concittadini fra studenti e famiglie.

La protesta ha due principali motivazioni. Una è strettamente locale e riguarda le misure che il consiglio di amministrazione dell’Università avrebbe già messo in atto e punterebbe a rafforzare nei prossimi mesi in termini di tagli ai servizi e di innalzamento dei contributi dovuti dagli studenti. Tali misure sono considerate necessarie per tentare di arginare il considerevole debito accumulato dall’ateneo, stimato per quest’anno intorno ai 52.000.000 di euro. La seconda motivazione dell’agitazione, invece, riguarda i tagli al finanziamento di tutte le università pubbliche decise dal governo per i prossimi due anni e che, a detta dello stesso rettore barese, prof. Corrado Petrocelli, potrebbero condurre addirittura al fallimento dell’ateneo. A questo si aggiunge la contrarietà dei movimenti studenteschi più attivi in questa fase al disegno di riforma dell’Università che ha come prima firmataria la ministra Gelmini e che è attualmente bloccata in senato, sommersa da una mole di più di ottocento emendamenti da discutere.

Abbiamo voluto domandare ad alcuni cassanesi iscritti all’Università di Bari come valutano la situazione e se condividono le proteste nei metodi oltre che nel merito. Lucia Ruggiero, giovane studentessa di Scienze dell’Educazione e membro del sindacato studentesco Link ci ha confermato di riconoscersi appieno nel comunicato pubblicato dal suo gruppo su Facebook (http://www.facebook.com/notes/informiamoci/universita-di-bari-occupata/387771019839), sottolineando solamente come, pur da ritenersi “estrema”, la decisione di bloccare l’ateneo abbia ha già prodotto alcuni effetti positivi, come l’accettazione da parte del rettore di discutere presso gli organi competenti la proposta degli studenti di ridistribuire il carico della tassazione, prelevando di più dagli studenti provenienti da famiglie a reddito più alto e di meno dagli altri. (I dettagli della proposta si possono leggere sul blog degli studenti: http://nonunodimeno.wordpress.com/).  Il rifiuto di pagare per gli sprechi e la cattiva gestione dell’università da parte dei suoi dirigenti, dunque, sembra essere l’argomento che sta più a cuore in questo momento alla gran parte di quanti si sono uniti alla protesta.

Tuttavia, la tensione all’interno dell’Università era alta in tutta Italia anche prima degli ultimi sviluppi. Data la crisi generale dell’economia e, soprattutto, la traballante condizione del bilancio dello stato, tagliare ovunque sia possibile è divenuto un must per il governo in carica. Anche però a prescindere dai complessi problemi congiunturali, è naturale che lo stato italiano destini al settore dell’Università e della Ricerca risorse in assoluto inferiori rispetto a quelle messe a disposizione del settore da altri paesi europei ed extra-europei con superiori capacità di spesa.

L’obiettivo della riforma Gelmini, a leggerne il testo (scaricabile dal sito del ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca), sembra essere proprio quello di creare un sistema meritocratico che punti a premiare gli atenei migliori e a punire quelli peggiori, in modo che le poche risorse a disposizione vengano utilizzate per creare centri di eccellenza capaci di competere a livello globale e di attrarre risorse sia dal settore privato che dall’estero. Ciò senza dimenticare che il diritto allo studio deve essere garantito a tutti coloro che dimostrano di avere le capacità e la volontà di eccellere, a prescindere dalla condizione economica delle loro famiglie di origine. Questa idea non sembra però piacere a molti in Italia e a Bari, sia fra gli studenti che fra i professori. Proprio mente gli studenti andavano ad occupare l’ateneo, i ricercatori erano riuniti in assemblea proprio per decidere quali strategie di protesta attuare contro il riordino del sistema di reclutamento dei docenti contenuto nel disegno di legge.

Si può certamente discutere se il disegno di riforma metta in campo soluzioni adeguate a perseguire gli obiettivi annunciati. Ma tali scopi sembrano gli unici raggiungibili oggi. D’altra parte, anche il più raffinato dei progetti organizzativi non può che naufragare davanti al malcostume, purtroppo diffusissimo in tutti i livelli della società italiana, per il quale i legami familiari e clientelari riescono sempre a vanificare qualunque sana procedura di valutazione oggettiva dei meriti individuali e dunque la sana e leale concorrenza che è l’unico motore del miglioramento. Ed è proprio questa la causa principale dello scadente rapporto tra qualità e costo del servizio offerto dall’Università di Bari, ciò di cui sono vittime anche gli studenti cassanesi che, spesso, dopo anni di studio e sacrifici non riescono a competere nel mercato del lavoro nazionale ed ancor meno in quello internazionale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *