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PROGETTO “SPAZIO VITALE”: PRIMO BILANCIO

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Far cambiare la mentalità delle donne sul tema del cancro si può? Secondo l’associazione di volontariato “Susan G. Komen Italia” è assolutamente possibile. In che modo? Prima di tutto avviando un’attenta riflessione mirata a “scoprire” una cura “ad personam”, ovvero un percorso attraverso cui ciascun individuo comprenda e elabori tutti quegli aspetti negativi e destrutturanti di cui è portatrice la malattia, per convertirli in risorse atte a condizionare quanto più positivamente possibile il decorso della malattia. Proprio con questo intento nel giugno 2010 fu inaugurato a Cassano “Spazio vitale”, uno sportello di consulenza psicologica tenuto ogni lunedì pomeriggio nella biblioteca Miani-Perotti e finanziato dai fondi Komen, pensato proprio per ascoltare, parlare e dunque esplorare ogni aspetto legato a tale malessere, per favorirne il supporto psicologico e di conseguenza, un nuovo progetto per la propria esistenza.

A quasi un anno di distanza dall’inizio di tale iniziativa, la dottoressa Castoro, psicologa e psicoterapeuta, sulla base del lavoro portato avanti in questi mesi, afferma: “lo sportello di consulenza psicologica “Spazio Vitale” ha destato l’interesse della cittadinanza cassanese, pur se in quantità limitata, forse a causa di una location non sempre adeguata per le consulenze psicologiche di donne in evidente stato di sofferenza, infatti– continua- gli spazi e il setting per gli interventi psicologici, risultano particolarmente importanti, e devono poter garantire soprattutto la riservatezza necessaria a permettere alle persone di sentirsi protette e accolte per poter riuscire a ricostruire insieme allo psicologo un percorso di vita futuro.”

Alla domanda su quali donne generalmente si rivolgono allo sportello di consulenza la stessa risponde:” le donne che si sono rivolte allo sportello di consulenza psicologica hanno, nella maggior parte dei casi, già avviato un processo di rielaborazione della propria esperienza di vita e presentano un forte coinvolgimento nel voler riprendere “le redini della propria vita”. Le stesse presentavano l’uso di strategie di “coping” di tipo positivo, cioè la capacità di chiedere aiuto e di fronteggiare le situazioni problematiche, oltre che di “coping attivo”,il quale prevede la messa in atto di azioni e attività per fronteggiare lo stress, come il non arrendersi di fronte ad un male che inizialmente appare come insormontabile. Queste donne, dunque, hanno esplicitato il bisogno di poter contare su un aiuto professionale per limitare i disagi legati alla malattia e poter condividere i vissuti emotivi associati alla cura e alla riabilitazione, non solo fisica, ma anche psico-sociale,  successiva ad un intervento o ai trattamenti chemioterapici.”

A questo punto viene da chiedersi quali risultati ne sono concretamente conseguiti: “Questo tipo di interventi ha permesso alle donne, sul piano psicologico di ottenere un minore disagio psicologico, un minore isolamento sociale, un’affettività negativa meno marcata, una migliore qualità della vita, un miglioramento nell’uso di strategie di coping adattive e una rielaborazione delle emozioni e dei vissuti legati alla malattia.

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