Cronaca

INIZIA IL PROCESSO STRAMAGLIA-DI COSOLA

stefanino

Una spartizione dell’entroterra barese fatta col bilancino e, ad ogni paese, un capobastone assegnato che rispondeva direttamente ai boss baresi. Ecco perché quando nel novembre dell’anno scorso la Polizia fece scattare l’operazione che portò all’arresto di oltre novanta affiliati ai clan Stramaglia e Di Cosola, la chiamarono “Hinterland” ovvero “entroterra”, il territorio della provincia di Bari dove la piovra barese stava cominciando ad allungare i propri tentacoli per “diversificare” la sua presenza nel capoluogo e continuare ad arricchirsi.

Quella piovra subirà processo presso il Tribunale di Bari che ha fissato la prima udienza per venerdì 14 ottobre. Oltre novanta presunti appartenenti ai due diversi clan saranno alla sbarra per una serie di reati che vanno dall’associazione per delinquere di stampo mafioso al traffico di stupefacenti alle estorsione, passando per una lunga serie di reati minori. L’inchiesta, a cura dei pm inquirenti della Direzione Distrettuale Antimafia,  Desirè Digeronimo, Elisabetta Pugliese e Francesca Romana Pirrelli, era partita nel 2007 e aveva puntato l’attenzione sui traffici illeciti e l’espansione in  provincia dei due clan che, un tempo acerrimi rivali, erano diventati “partner” in questo opera di allargamento dei rispettivi confini criminali e ciò al fine, secondo la DDA barese, di non pestarsi i piedi a vicenda ma collaborare per conquistare l’ hinterland barese.

La notte del 4 novembre 2010, nella retata che portò in carcere una novantina di presunti affiliati ai clan, finirono 17 persone residenti a Cassano: Stefano Barbetta (nella foto, il momento del suo arresto), ritenuto dagli inquirenti il capobastone a Cassano, i fratelli Ottavio e Alessandro Di Cillo; Enzo Sapienza; Giambattista Petrelli; Donato Terrone; Francesco De Lucia; Giuseppe Baccellieri; Fabio De Girolamo ; Franco Loverro, Michele Terlizzi; Michele Ventura; Giuseppe Giorgio; Filomena Lorusso; Sabino Magaletti; Rella Michele Antonio; Sante Santoro.

Alcuni di essi furono scarcerati già qualche settimana dopo il blitz, ottenendo gli arresti domiciliari; altri, come Barbetta, sono ancora in carcere sia per precedenti penali specifici che per la loro pericolosità sociale.

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