Cultura

Festa della donna: che genere…di festa?

festa donne con mimosa

Domenica, 8 marzo, festa della donna.

In tutta Italia saranno soprattutto le operatrici dei centri antiviolenza a rimboccarsi le maniche per organizzare diversi momenti di confronto sul loro lavoro e sulla loro esperienza con le donne vittime di violenza.

Ebbene, come operatrice del Centro di primo ascolto per le donne vittime di violenza di genere di Cassano delle Murge, servizio gratuito offerto dall’associazione No More – Difesa donna che rappresento, vorrei riportare la mia esperienza, vorrei offrire qualche spunto di riflessione sul sentirsi donna oggi.

La metodologia di accoglienza del Centro, è basata sulla relazione tra donne. Ci sono donne che accolgono altre donne. E’ una relazione simbiotica, significa specchiarsi in sentimenti, paure, debolezze e fragilità che accomunano tutte le donne. Anche quelle che non sono vittime di violenza di genere.

Ma che cosa è la violenza di genere? Violenza di genere significa violenza contro il genere donna. Violenza contro la donna perché donna. Quindi dimentichiamo la parola RAPTUS. Diremo donna uccisa da un uomo e non da un raptus. Lotta alla violenza di genere significa, allora, lottare e intervenire per un cambiamento culturale che finalmente non veda più la donna sottomessa all’uomo, che non veda più la donna posta su un gradino inferiore rispetto a quello su cui si pone l’uomo.

La violenza è figlia di una cultura patriarcale, maschilista. Per questo la violenza contro le donne non è conflittualità. Non è divergenza di opinioni. Violenza contro le donne è privazione della libertà.

Ebbene, in un epoca in cui i media cavalcano l’onda del fenomeno (?) femminicidio, in cui tra le grigie mura della politica si discute di quote rosa, di legge elettorale del “50/50”, di grammatica di genere, mi sono chiesta: di cosa ha bisogno la donna, oggi? Di una giornata preconfezionata dipinta di giallo? O piuttosto della parità di opportunità? E mi sono chiesta: ma perché, non siamo (ancora) uguali? Gli uomini sono tutti maschilisti?

Da quando mi occupo di violenza e di questioni di genere, ho cominciato a nutrire un certo disagio nel relazionarmi con l’otto marzo, festa della donna. Perché, è chiaro, il mio pensiero va a loro, a quelle donne che ancora stanno nella violenza. E quindi questa “festa” per me assume il sapore del superfluo, della corsa al regalo, del commerciale.

Uso volutamente l’espressione “Festa della donna” e non “Giornata internazionale della donna” per sottolineare come, nell’immaginario comune, questa sia spesso percepita appunto come una festa (serate rigorosamente tra donne) e non come un reale e intenso momento di riflessione sulle condizioni passate e attuali della donna.

Ma la vera domanda è: “Perché c’è bisogno di una festa della donna?”

Risposta: probabilmente si ha l’impressione che l’uomo venga “festeggiato” quotidianamente ed allora, prendiamoci almeno un giorno per festeggiare noi stesse..(e che cavolo!)

Perché l’essere femmina, spesso ci ha costrette a limitarci e a non esprimerci al meglio perché la società (maschile) non ce lo ha permesso.

Quindi, adesso se dobbiamo esprimerci, dobbiamo farlo in tutto e per tutto e dunque rivoluzioniamo anche la grammatica!

La presidente della Crusca nel 2013 ribadiva “l’opportunità di usare il genere grammaticale femminile per indicare ruoli istituzionali (la ministra, la presidente, l’assessora, la senatrice, la deputata ecc.) e professioni alle quali l’accesso è normale per le donne solo da qualche decennio (chirurga, avvocata o avvocatessa, architetta, magistrata ecc.) così come del resto è avvenuto per mestieri e professioni tradizionali (infermiera, maestra, operaia, attrice ecc.)”.

Ma per non sentirci discriminate questo non ci basterà, e quindi useremo l’asterisco al posto della desinenza per indicare sia la forma maschile che femminile (es.: tutt* al posto di tutte/tutti; ragazz* al posto di ragazze/ragazzi).

Incomprensibilità del testo garantita, dico io.

Ma abbiamo davvero bisogno della grammatica di genere? Delle quote rosa? Della legge elettorale del 50/50? Delle “nuove” femministe?

La vita delle donne italiane è cambiata in meglio rispetto a trent’anni fa. Basta ricordare le grandi conquiste del ‘900 e quanto le donne abbiano lottato per ottenere il diritto al lavoro, l’accesso alle carriere, l’abolizione del delitto d’onore, l’autodeterminazione rispetto al proprio corpo, il riconoscimento della violenza sessuale come reato contro la persona e non contro la morale.

Ma adesso?

Dobbiamo ancora lottare?

Non solo per riaffermare diritti già conquistati e spesso messi in discussione, ma soprattutto per ottenere la parità sostanziale?

Ho l’impressione che da lunedì fino all’8 marzo del prossimo anno, staremo ancora a parlare di queste cose.

Non voglio andare contro il mio stesso sesso, come a volte vengo semplicisticamente tacciata di fare per le mie riflessioni ad alta voce,  ma credo che il troppo storpi e forse ne parliamo così tanto di parità di opportunità che stiamo rischiando di cadere nella autocelebrazione di noi stesse. E non meravigliamoci poi se accade quel che è accaduto in Consiglio Regionale dove uomini di sinistra hanno affossato la legge elettorale della doppia preferenza tanto bramata dalle donne della sinistra.

E mentre scrivo questo mi domando: ma perché, esistono donne di sinistra e donne di destra? Non siamo tutte donne? Beh, certo! ma vedete, anche noi siamo diverse e non la pensiamo tutte alla stessa maniera. Scioccante eh?

Ed allora, non me la sento, comunque, di “condannare” le tante donne che in nome della “sorellanza” oggi si ritroveranno davanti ad un bel bicchiere di vino a parlare dei loro mariti, dei loro fidanzati, del ragazzo da cui si lasciano corteggiare. Perché sarà anche quello un momento di confronto, un momento per ritrovare se stesse, per dedicarsi solo a se stesse. Perché…mica parleranno di pari opportunità!? Mica rifletteranno sulla loro condizione di essere donna!? Anzi! Vi dirò di più! Anche quelle che quotidianamente lottano per la parità dei diritti, lo faranno! Ma ben venga dico io!

Il mio pensiero invece va a tutte quelle donne che non saranno libere di farlo, perché vittime della tragedia invisibile della violenza domestica, vittime della privazione di quella libertà che non ti consente neanche di pensare all’otto marzo come ad un giorno diverso dagli altri e per le quali invece sarà il solito giorno in cui le prenderai perché la pasta è scotta, il posacenere sta su un tavolo piuttosto che su un altro, il bambino piange, stai guardando la tv stesa sul divano.

Sarà il solito giorno in cui ti chiederai a cosa serve un mazzo di fiori se poi il giorno prima eri in ospedale con il naso spaccato. In cui ti chiederai come può l’uomo che ami trattarti come un oggetto continuare ad abusare di te anche nel giorno della tua festa. E quindi al diavolo le 50 rose rosse. Al diavolo tutto.   

Il mio, il pensiero delle operatrice del Centro, va soprattutto a loro. Alle donne vittime di violenza.

Che sia soprattutto la loro festa.

Avvocato e Presidente dell’Associazione

“No More – Difesa Donna”

 

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