La voce del paese

Maria Valtorta e la resurrezione di Lazzaro

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L‘opera grandiosa di Maria Valtorta, ispirata con visioni e dettature da Gesù e riguardanti  principalmente i suoi tre anni di evangelizzazione, è già stata  trattata  su Cassanoweb con diversi articoli apparsi  il  3 – 10 e 24 settembre 2018.

Con questo articolo propongo la lettura di un miracolo strepitoso che diede una svolta decisiva alla vicenda umana di nostro Signore Gesù Cristo.

Nel Vangelo di Giovanni (11, 17-46) si racconta della resurrezione di Lazzaro , poche pagine, cioè la cronaca breve di un miracolo come tanti altri.

Maria Valtorta descrive questo evento  in modo molto particolareggiato ed avvincente, soprattutto nel momento  in cui Gesù si avvicina al sepolcro e si trasfigura, per riportare alla vita il corpo di Lazzaro ormai già in decomposizione.

Poi Gesù spiega perché quel miracolo era necessario che avvenisse. Sono dieci pagine di lettura,  riporto  quelle più suggestive.

 

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“”””Andiamo da Lazzaro. Dove lo avete posto?». Gesù, più che a Maria e Marta, che non parlano, prese come sono da un pianto più forte, interroga tutti gli altri, specie quelli che, usciti di casa con Maria, sembrano i più turbati. Forse sono parenti più anziani, non so. E questi rispondono a Gesù, visibilmente afflitto: «Vieni e vedi», e si avviano verso il luogo del sepolcro che è ai termini del frutteto, là dove il suolo ha delle ondulazioni e delle vene di roccia calcarea che affiorano dal suolo.

Marta, al fianco di Gesù che ha forzato Maria ad alzarsi e che la guida, perché essa è accecata dal gran pianto, indica con la mano a Gesù dove è Lazzaro, e quando sono presso al luogo dice anche: «È lì, Maestro, che il tuo amico è sepolto», e accenna alla pietra posta obliquamente sulla bocca del sepolcro.

«Levate quella pietra», grida Gesù ad un tratto, dopo aver asciugato il suo pianto.

Tutti hanno un movimento di stupore, e un mormorio scorre per l’assembramento, che si è aumentato di alcuni betaniti che sono entrati nel giardino e si sono accodati agli ospiti. Vedo alcuni farisei che si toccano la fronte scuotendo il capo come per dire: «È pazzo!». Nessuno eseguisce l’ordine. Anche nei più fedeli vi è della titubanza, della ripulsione a farlo.

 Gesù ripete più forte il suo ordine, facendo sbigottire più ancora la gente che, presa da due sentimenti opposti, ha un movimento come per fuggire e, subito dopo, uno di accostarsi di più per vedere, sfidando il prossimo fetore del sepolcro che Gesù vuole aperto.

«Maestro, non è possibile», dice Marta sforzandosi di trattenere il pianto per parlare. «Già da quattro giorni è la sotto. E Tu sai di che male è morto! Solo il nostro amore lo poteva curare… Ora certo egli puzza già fortemente nonostante gli unguenti… Che vuoi vedere? La sua putredine?… Non si può… anche per l’impurità della corruzione e…».

«Non ti ho detto che se crederai vedrai la gloria di Dio? Levate quella pietra. Lo voglio!». È un grido di volere divino…

Un «oh!» sommesso esce da tutti i petti. I volti sbiadiscono. Qualcuno trema come se fosse passato su tutti un vento gelido di morte.

Marta fa un cenno a Massimino, e questo ordina ai servi di prendere gli arnesi atti a smuovere la pietra pesante.

I servi vanno via lesti per tornare con picconi e leve robuste. E lavorano, insinuando le punte dei picconi lucenti fra la roccia e la pietra, e poscia sostituendo i picconi con le leve robuste, infine sollevando attenti la pietra facendola scivolare da un lato e strascicandola poi cautamente contro la parete rocciosa. Un fetore ammorbante esce dal cunicolo oscuro, facendo arretrare tutti.

Marta chiede sottovoce: «Maestro, vuoi scendere là? Se sì, occorrono torce…». Ma è livida al pensiero di doverlo fare.

Gesù non le risponde. Alza gli occhi al cielo, apre le braccia a croce e prega con voce fortissima, scandendo le parole: «Padre! Io ti ringrazio di avermi esaudito. Lo sapevo che Tu mi esaudisci sempre. Ma l’ho detto per questi che sono qui presenti, per il popolo che mi circonda, perché credano in Te, in Me, e che Tu mi hai mandato!».

Resta ancora così qualche momento, e pare rapito in una estasi tanto è trasfigurato, mentre senza più suono dice altre segrete parole di preghiera o di adorazione. Non so. Quello che so è che è così trasumanato che non lo si può guardare senza sentirsi tremare il cuore in petto.

Sembra farsi, da corpo, luce, spiritualizzarsi, alzarsi di statura e anche da terra. Pur conservando i suoi colori di capelli, occhi, pelle, vesti, non come durante la trasfigurazione del Tabor, durante la quale tutto divenne luce e candore abbagliante, pare emanare luce e tutto di Lui divenire luce. La luce pare fargli un alone intorno, specie intorno al volto levato al cielo, rapito in contemplazione certo del Padre.

Sta così qualche tempo, poi torna Lui, l’Uomo, ma di una maestà potente. Si avanza sino alla soglia del sepolcro. Sposta le braccia –che sino a quel momento aveva tenuto aperte a croce, a palme volte al cielo– in avanti, a palme verso terra, e le mani sono perciò già dentro al cunicolo del sepolcro e biancheggiano nella nerezza che colma il cunicolo.

 Egli sprofonda il fuoco azzurro dei suoi occhi, il cui bagliore di miracolo è oggi insostenibile, in quella nerezza muta, e con voce potente, con un grido più forte di quando sul lago comandò al vento di cadere, con una voce quale in nessun miracolo gli ho sentito, grida: «Lazzaro! Vieni fuori!».

La voce si ripercuote per eco nel cavo sepolcrale e si spande uscendone poi per tutto il giardino, si ripercuote contro i dislivelli delle ondulazioni di Betania, io credo che vada sino alle prime balze collinose oltre i campi e di là torni, ripetuta e sommessa, come comando che non può cadere.

Certo è che da infinite parti si riode: «fuori! fuori! fuori!».

Tutti hanno un più intenso brivido e, se la curiosità inchioda tutti ai loro posti, i volti sbiancano e gli occhi si spalancano, mentre le bocche si socchiudono involontariamente, con l’urlo dello stupore già nella strozza.

Marta, un poco indietro e di fianco, è come affascinata a guardare Gesù. Maria cade in ginocchio, lei che non si è mai scostata dal suo Maestro, cade in ginocchio sul limitare del sepolcro, una mano sul petto a frenare i palpiti del cuore, l’altra che inconsciamente e convulsamente tiene un lembo del mantello di Gesù, e si capisce che trema perché il mantello ha lievi scosse impresse dalla mano che lo tiene.

Un che di bianco pare emergere dal fondo profondo del cunicolo. Prima è appena una piccola linea convessa, poi si muta in un che di ovale, poi all’ovale si sottopongono linee più ampie, più lunghe, sempre più lunghe. E il già morto, stretto nelle sue fasce, viene avanti lentamente, sempre più visibile, fantomatico impressionante.

Gesù arretra, arretra, insensibilmente ma continuamente, più quello avanza. La distanza fra i due è perciò sempre uguale.

Maria è costretta a lasciare il lembo del manto, ma non si muove da dove è. La gioia, l’emozione, tutto, l’inchiodano al posto dove era.

Un «oh!» sempre più netto esce dalle gole chiuse prima da uno spasimo di attesa, da sussurro appena distinto si muta in voce, da voce in un grido potente.

Lazzaro è ormai sul limitare e si ferma là rigido, muto, simile ad una statua di gesso appena sbozzata, perciò informe, una lunga cosa, sottile nel corpo, sottile nelle gambe, più larga nel tronco, macabra come la morte stessa, spettrale nel biancore delle fasce contro lo sfondo scuro del sepolcro. Al sole che lo investe, le fasce appaiono qua e là già colanti putredine.

Gesù grida forte: «Scioglietelo e lasciatelo andare. Dategli vesti e cibo».

«Maestro!…», dice Marta e vorrebbe forse dire di più, ma Gesù la guarda fisso, soggiogandola col suo fulgido sguardo, e dice: «Qui! Subito! Portate una veste. Vestitelo alla presenza di tutti e dategli da mangiare». Ordina, e non si volge mai a guardare chi ha alle spalle e intorno.

Il suo occhio guarda soltanto Lazzaro, Maria che è vicina al risorto, incurante del ribrezzo che danno a tutti le bende marciose, e Marta che ansima come le scoppiasse il cuore e non sa se gridare la sua gioia o se piangere…

Ecco che vengono messi i sandali a Lazzaro. Egli si alza in piedi, agile, sicuro. Prende la veste che Marta gli porge, da sé se l’infila, si lega la cintura, si aggiusta le pieghe. Eccolo, magro e pallido, ma uguale a tutti. Si lava ancora le mani e le braccia sino al gomito, rimboccandosi le maniche. E poi, con nuova acqua, di nuovo il volto e il capo, sinché non si sente affatto netto. Si asciuga capelli e volto, rende l’asciugatoio al servo e va diritto da Gesù. Si prostra. Gli bacia i piedi.

Gesù si curva, lo rialza, lo stringe al cuore dicendogli: «Ben tornato, amico mio. La pace sia teco e la gioia. Vivi per compiere la tua felice sorte. Alza il tuo volto, che Io ti dia il bacio di saluto». E lo bacia, ricambiato da Lazzaro, sulle guance.

Soltanto dopo aver venerato e baciato il Maestro, Lazzaro parla alle sorelle e le bacia, e poi bacia Massimino e Noemi che piangono di gioia, e alcuni di quelli che credo siano imparentati con la casa o amici intimissimi. Poi bacia Giuseppe, Nicodemo, Simone Zelote e qualche altro.

Gesù va personalmente da un servo, che ha sulle braccia un vassoio con del cibo, e prende una focaccia con del miele, una mela, una coppa di vino e le offre a Lazzaro, dopo averle offerte e benedette, perché se ne ristori. E Lazzaro mangia col sano appetito di uno che sta bene.

Tutti hanno ancora un «oh!» di stupore.

Gesù sembra che non veda che Lazzaro, ma in realtà osserva tutto e tutti, e vedendo che con gesti d’ira Sadoc e Elchia, Canania, Felice, Doras e Cornelio e altri stanno per allontanarsi, dice forte: «Attendi un momento, o Sadoc. Devo dirti una parola. A te e ai tuoi». Quelli si fermano con un ceffo da delinquenti. Giuseppe d’Arimatea ha un atto di sgomento e fa cenno allo Zelote di trattenere Gesù.

Ma Egli sta già andando verso il gruppo astioso e già dice forte: «Ti basta, o Sadoc, quanto hai visto? Mi hai detto un giorno che per credere avevi bisogno, tu e i tuoi uguali, di vedere ricomporsi un morto disfatto in sanità. Sei sazio della putredine vista? Sei capace di confessare che Lazzaro era morto e che ora è vivo e sano come non era da anni?

Lo so. Voi siete venuti qui a tentare costoro, a mettere in loro maggior dolore e il dubbio. Voi siete venuti qui a cercarmi, sperando trovarmi nascosto nella stanza del morente. Voi siete venuti qui non per sentimento di amore e desiderio di onorare l’estinto, ma per assicurarvi che Lazzaro era realmente morto, e avete continuato a venire giubilando sempre più, più il tempo passava. Se le cose fossero andate come speravate, come ormai credevate che andassero, avreste avuto ragione di giubilare. L’Amico che guarisce tutti, ma non guarisce l’amico. Il Maestro che premia tutte le fedi, ma non quelle dei suoi amici di Betania.

 Il Messia impotente davanti alla realtà di una morte. Questo era ciò che vi dava ragione di giubilare. Ma ecco. Dio vi ha risposto. Nessun profeta ha mai potuto riunire ciò che era sfatto, oltre che morto. Dio lo ha fatto. Ecco là la testimonianza viva di ciò che Io sono. Un giorno fu che Dio prese del fango e ne fece una forma e vi alitò lo spirito vitale e l’uomo fu. Io ero a dire: “Si faccia l’uomo a nostra immagine e somiglianza”.

Perché Io sono il Verbo del Padre. Oggi, Io, Verbo, ho detto a ciò che è ancor meno del fango, alla corruzione: “Vivi”, e la corruzione si è tornata a comporre in carne, e in carne integra, viva, palpitante. Eccola là che vi guarda. E alla carne ho ricongiunto lo spirito giacente da giorni nel seno d’Abramo. L’ho richiamato col mio volere perché tutto Io posso, Io il Vivente, Io il Re dei re cui sono soggette tutte le creature e le cose. Or che mi rispondete?».

È davanti a loro, alto, sfolgorante di maestà, veramente Giudice e Dio. Essi non rispondono.

Egli incalza: «Non vi basta ancora per credere, per accettare l’ineluttabile?».

«Non hai mantenuto che una parte della promessa. Questo non è il segno di Giona…», dice aspro Sadoc.

«Avrete anche quello. L’ho promesso e lo mantengo», dice il Signore. «E un altro qui presente, che attende un altro segno, lo avrà. E poiché è un giusto, lo accetterà. Voi no. Voi rimarrete ciò che siete».

Fa un mezzo giro su Se stesso e vede Simone il sinedrista figlio di Elianna. Lo fissa. Lo fissa. Lascia in asso quelli di prima e, giunto viso a viso con lui, gli dice, a voce bassa ma incisiva: «Buon per te che Lazzaro non ricordi il suo soggiorno fra i morti! Che ne hai fatto di tuo padre, o Caino?».

Simone fugge con un grido di paura, che poi si muta in un urlo di maledizione: «Che Tu sia maledetto, o Nazareno!», al che Gesù risponde: «La tua maledizione sale al Cielo e dal Cielo l’Altissimo te la riscaglia. Sei segnato del marchio, o sciagurato!».

Torna indietro fra i gruppi stupiti, spaventati quasi. Incontra Gamaliele che si dirige verso la via. Lo guarda, e Gamaliele guarda Lui. Gesù gli dice senza fermarsi: «Stai pronto, o rabbi. Il segno presto verrà. Non mento mai».

Dice Gesù:

«Avrei potuto intervenire in tempo per impedire la morte di Lazzaro. Ma non lo volli fare. Sapevo che questa risurrezione sarebbe stata un’arma a doppio taglio, perché avrebbe convertito i giudei di retto pensiero e reso sempre più astiosi quelli di pensiero non retto. Da questi, e sotto quest’ultimo colpo del mio potere, sarebbe venuta la mia sentenza di morte. Ma ero venuto per questo, e l’ora era ormai matura perché ciò si compisse. Avrei anche potuto accorrere subito. Ma avevo bisogno di persuadere, con la risurrezione da una putredine già avanzata, gli increduli più ostinati. E anche i miei apostoli che, destinati a portare la mia fede nel mondo, avevano bisogno di possedere una fede temprata da miracoli di prima grandezza.

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Nei capitoli successivi le conseguenze di questo straordinario miracolo,  che impaurì i sommi sacerdoti  del Sinedrio, tanto da indursi ad emanare il bando di cattura per Gesù, ormai da loro condannato a morte. Tradito poi da Giuda Iscariota, Gesù subì la crocifissione mentre contemporaneamente  il suo traditore, pentitosi amaramente, non ebbe il coraggio di chiedergli perdono e si tolse la vita: “Disperazione e suicidio di Giuda Iscariota” ( Volume IX- Cap. 605) sono altre pagine suggestive  da leggere ,insieme a tutta l’opera, per la più completa conoscenza della vita di Gesù e dei suoi apostoli.

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Fonte : . http://www.scrittivaltorta.altervista.org/per_volume.htm

Si ringrazia la Fondazione Maria Valtorta CEV onlus, www.mariavaltorta.com, che ha autorizzato la pubblicazione del capitolo della risurrezione di Lazzaro.                                                              gTen

 

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